La notizia della morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821, colpì profondamente Alessandro Manzoni, il quale scrisse di getto in appena tre giorni, (dal 17 al 20 luglio 1821), un'ode che ricordasse al mondo intero la vita dell'uomo Napoleone.
Il Cinque Maggio è una profonda meditazione sul mistero della vita, delle vicende umane che sarebbero assurde qualora non fossero guidate e illuminate dalla potenza di Dio.
La protagonista dell'ode è la divina Provvidenza si è servita di lui per realizzare i propri misteriosi progetti, questo secondo la concezione cristiana del Manzoni.
Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785 dal conte Piero Manzoni e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare, autore del famoso trattato "Dei delitti e delle pene" contro la tortura e la pena di morte. Compiuti i suoi primi studi in collegi religiosi, a 20 anni si recò a Parigi, dove si formò politicamente, culturalmente e moralmente. Tornato a Milano, nel 1808, conobbe e sposò Enrichetta Blondel, visse quasi sempre a Milano. Nel 1848, insieme ad altri patrioti, firmò la petizione a Carlo Alberto perché intervenisse contro gli Austriaci. Nel 1861 fu nominato senatore del nuovo Regno d'Italia. Morì nella sua Milano nel 1873.
Il Cinque Maggio
Napoleone Bonaparte |
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con voce assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio,
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fatto, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e tiepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il perielio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio:
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
scommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E parve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda in cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
narrar a sé stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde stanca la man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio,
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirito anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabili aere
pietosa il trasportò;
e l’avviò, per i floridi
sentire della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
fede ai trionfi avvezza!
scrivi ancor questo, allégrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta còltrice
accanto a lui posò. Alessandro Manzoni
PS:
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