Recensione
“Venuto al mondo”
di Margareth Mazzantini
Mondadori, 2008
pp. 531, rilegato
€ 20,00
Il libro è ambientato tra Roma e Sarajevo, tra la vita tranquilla e monotona delle nostre città, e la vita vissuta con il rischio di morire per mano di un cecchino, una vita segnata dalla guerra. La guerra dell’ex-Jugoslavia è il filo conduttore di questo romanzo, bello e tragico, ma ricco di un’unamità sconvolgente, ma anche la spasmodica ricerca di una maternità negata, che alla fine verrà ricompensata, non senza lacrime e profonda sofferenza.
Il romanzo inizia con una telefonata tra Gemma, una cinquantenne romana, e Gojko, amico bosniaco, poeta mancato, conosciuto a Sarajevo per le Olimpiadi invernali del 1984, il quale la invita ad una mostra fotografica che si sta allestendo proprio a Sarajevo, che ricorda l’assedio e la guerra, e nella mostra ci saranno anche le foto di Diego, grande amore di Gemma, nonché padre di Pietro, ormai sedicenne, che accompagna la mamma controvoglia, in questo viaggio nella memoria. La storia fra Gemma e Diego inizia proprio a Sarajevo nel 1984, ed è proprio Gojko l’artefice dell’incontro tra i due ragazzi, un incontro che segnerà per sempre le loro vite, dato che proveranno l’uno per l’altro un amore vero, un amore con la a maiuscola. Gemma è lì per preparare la sua tesi di laurea su un poeta jugoslavo, e Diego fa il fotografo. Ritornando a Roma, Gemma non riuscirà a dimenticare Diego, dato che lascerà il fidanzato sull’altare, per correre fra le braccia del suo Diego. Lui, per amore di lei, si trasferirà da Genova a Roma, dove cercherà di vivere una vita tranquilla. Gemma rincorre un altro sogno: quello di diventare mamma, ma la natura le giocherà un tiro mancino negandole la realizzazione del suo desiderio. Però ricorre ad una soluzione più brutale: far concepire il figlio a un’altra donna con il marito Diego.
Per quest’ultimo, il pensiero della guerra in Jugoslavia, e degli amici in pericolo, sarà più forte dell’amore per Gemma, infatti partirà, ma lei lo seguirà non senza pericoli.
A Sarajevo incontrano Aska, una trombettista punk, e Gemma decide che sarà lei la “madre” del loro bambino.
Nel componimento narrativo si intreccia la voglia e la ricerca della maternità di Gemma, e la guerra dell’ex-Jugoslavia e, si conclude con la sconcertante rivelazione della procreazione di Pietro, frutto di una violenza etnica, un modus operandi crudele perpetrato dalle milizie serbe nei confronti dei bosniaci.