giovedì 30 dicembre 2010

Happy New Year! Bonne Année!

“Alla sera” di Ugo Foscolo

Forse perché della fatal quiete
tu sei l'immago, a me si cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e va con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.



Ogni notte di capodanno pensiamo e speriamo che il domani, l’anno che verrà, sia migliore, diverso da quello che si è appena concluso.

La notte di fine anno è speciale, ci proietta verso un futuro a noi ignoto, caricandola di promesse, sogni e desideri.

Auguri!


Chiara D’Amico

mercoledì 22 dicembre 2010

Tanti Auguri di Buone Feste!

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo”
Luca 2, 1-7



Permettetemi di porgervi i miei più sinceri Auguri di Buon Natale e Felice 2011!!
I send you my best wishes! Merry Christmas and Happy New Year!!

Chiara D'Amico

STORIA DEL TORRONE: DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI.

Fra pochi giorni sarà Natale e sulle nostre tavole imbandite a festa non potrà mancare, per la gioia dei dentisti, il torrone!
Il torrone, dopo un lungo viaggio durato secoli, da un continente all’altro, arriva a noi nella forma e nei gusti che tutti noi conosciamo.

Marco Gavio Apicio, vissuto sotto l’autorità di Tiberio, scrisse alla fine del I secolo d.C. il “De Re Coquinaria” (L’arte culinaria); in questo trattato Apicio parla di un dolce antenato del torrone preparato con miele, mandorle ed il bianco d’uovo. Diverse sono le versioni relative alla nascita del torrone, alcuni ritengono che sia originario della Cina, ma il torrone appartiene al bacino del Mediterraneo, dato che i suoi ingredienti sono di provenienza mediorientale.
Secondo alcuni studiosi questo dolce è di origine araba, corrisponde alla variante araba conosciuta con il nome di cubbaita o di giuggiolena, dolce arabo fatto di miele e sesamo. L’etimologia della parola torrone ci porta dallo spagnolo turròn, abbrustolito, derivato da turrar, arrostire, al latino torrere, tostare. Un dolce chiamato turun è citato in uno scritto del XI secolo del medico spagnolo Abdul Mutarrif di Cordova, il suo scritto “De Medicinis e Cibis Semplicibus” fu tradotto in Italia, tra il 1100 e il 1150, da Gherardo Cremonese.
Secondo altri, invece, furono i Romani gli artefici di questa prelibatezza, conosciuta con il termine di cuppedo, cupeto o cupàte, ancora oggi viene chiamato così in molte zone dell’Italia meridionale. La parola cupàte ha origine dalla parola araba qubbat (mandorla). La città di Cremona, però, si considera la patria storica del torrone. Qui si racconta che, durante il banchetto nunziale di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti nel 1441, fu servito un dolce di mandorle, miele ed albume, il quale nella sua forma riproduceva la torre cittadina, denominata Torrione. I Cremonesi ritengono che dal Torrione derivi il nome torrone. Oltre il torrone di Cremona, in Italia ci sono i torroni prelibati del Piemonte, Siena, Benevento, Abruzzo, Calabria e Sicilia.

I torroni siciliani sono considerati particolarmente raffinati, ve ne sono di tanti tipi: al pistacchio, alla mandorla, glassati, di zucchero e miele, al cioccolato, etc. Diverse sono anche le forme: a mattùneddi (mattonelle), né casciti (a cassetta). A Licata si confezionava un torrone preparato con i ceci tostati cotti nel miele chiamato ciciràta.
Il torrone siciliano più prelibato è la giuggiulèna o cubbàita, prodotto con miele, sesamo, zucchero e mandorle. La parola giuuggiulèna deriva dall’arabo giolgiolan che nella Sicilia orientale indica sia il torrone sia i semi di sesamo, mentre nella Sicilia occidentale indica solo i semi di sesamo, perché il torrone è chiamato cubbàita, proveniente dalla parola araba qubbàita.
Nella Sicilia preromana durante le tesmoforie, feste in onore della dea Cerere, si preparava un dolce simile alla cubbàita: il rnylloi.

Cubaita, torrone al miele e semi di sesamo, ingredienti per 4 porzioni:
• 200 g di miele,
• 250 g di semi di sesamo,
• 50 g di zucchero,
• 10 mandorle tostate,
• 1 cucchiaino di olio extravergine di oliva.

Preparazione:
1. In una casseruola di rame, versate il miele e fatelo sciogliere a fuoco moderato; aggiungete lo zucchero e cuocete finché il risulta completamente sciolto, mescolando continuamente.
2. Al momento del bollore, unitevi i semi di sesamo e cuocete mescolando per altri 5 minuti.
3. Procedete aggiungendo le mandorle intere e cuocete fino ad addensare il composto; esso sarà pronto quando, disponendone 1 cucchiaio su un piano di lavoro leggermente oliato, sarà sufficientemente indurito da staccarsi con facilità.
4. Una volta completata la cottura, versatelo su un piano di lavoro oliato e portatelo a una forma squadrata o rettangolare dello spessore di 1 cm.
5. Prima che si rapprenda completamente, tagliatelo in losanghe o della forma desiderata e servite.
A volte si guarnisce questo torrone con piccoli confetti o tubetti di zucchero colorati.
Vino consigliato Passito liquoroso di Pantelleria.

Torrone, ingredienti per 4 porzioni:
• 1 Kg mandorle sgusciate,
• 1 kg di zucchero,
• 1/2 limone,
• Olio d'oliva quanto basta.

Preparazione:
1. Immergete un paio di minuti le mandorle in acqua calda ed eliminate la loro pellicina.
2. Versatele in un tegame, aggiungete lo zucchero e fate cuocere a fuoco molto basso, mescolando continuamente evitando che lo zucchero si attacchi al fondo.
3. Quando sarà sciolto e avrà assunto un colore dorato, togliete il tegame dal fuoco.
4. Nel frattempo ungete con olio il tavolo di marmo.
5. Versatevi il torrone velocemente e spianatelo con l'aiuto di mezzo limone.
Quando sarà raffreddato, tagliatelo a pezzi con un coltello robusto.

E con questo non mi resta che farvi i miei migliori Auguri di Buone Feste!

Chiara D’Amico

venerdì 17 dicembre 2010

"La via lattea", di Piergiorgio Odifreddi e Sergio Valzania.


“La via lattea”
di Piergiorgio Odifreddi e Sergio Valzania
TEA, 2010
pp. 321, ill., brossura
€ 9,00

In Spagna e in Portogallo la galassia che gli antichi chiamavano Via Lattea si chiama Cammino di Santiago, perché indica la via da est a ovest che porta al luogo della supposta sepoltura dell'apostolo Giacomo (Iago in spagnolo, da cui Sant'Iago). In una sorta di inversione, il Cammino di Santiago si chiama a sua volta Via Lattea, per sottolineare la sua natura di via "sotto le stelle". La Via Lattea è anche il titolo di un film di Luis Buñuel del 1969 che narra le avventure di due pellegrini in cammino verso la tomba di San Giacomo, e i metaforici duelli sulle questioni dottrinali che li accompagnano per tutto il percorso, fino alla meta. In spirito programmaticamente buñueliano, il matematico ateo Piergiorgio Odifreddi e il giornalista credente Sergio Valzania (e per un tratto lo storico cattolico Franco Cardini) hanno affrontato il Cammino di Santiago de Compostela tra il 24 aprile e il 26 maggio 2008, dando vita a continue e quotidiane schermaglie verbali su Radio3. Le ripercorrono ora in questo libro: schermaglie che, partendo dalla contrapposizione fra la natura e Dio, si allargano a toccare non solo la scienza e la religione, ma anche l'etica, la filosofia, la storia e l'arte, per approdare infine a una meditazione sulla vita tutta.


Suggerimenti di lettura di Chiara D'Amico

"Il matematico impenitente", di Piergiorgio Odifreddi.


“Il matematico impenitente”
di Piergiorgio Odifreddi
TEA, 2009
pp. 363, brossura
€ 8,60

Il titolo dà un'idea dello spirito dell'autore, che nelle sue scorribande attraversa in lungo e in largo i territori (infiniti?) della galassia logico-matematica e dei suoi pianeti. Sono saggi, articoli, riflessioni e osservazioni su temi congeniali a Odifreddi, cui si aggiungono divagazioni sulla religione, l'attualità politica, la lingua e la letteratura. L'occhio del logico e del matematico osserva i fenomeni e gli uomini, ma è un occhio freddo, che guarda le cose senza pregiudizi, osserva (e giudica) alcuni eventi socio-politici con oggettività. Lo sguardo sul presente si alterna a ricognizioni sul passato: ogni capitolo si apre con un'intervista impossibile a un grande protagonista della Storia (Aristotele, Archimede, Newton...).



Suggerimenti di lettura di Chiara D'Amico

lunedì 13 dicembre 2010

SANTA LUCIA: FRA STORIA E CUCINA.


Oggi 13 dicembre la Chiesa festeggia Santa Lucia.
La storia inizia con la sua nascita a Siracusa, intorno al 283, figlia di nobili, rimane orfana di padre, e vive sola con la madre Eutichia. La madre contrae una grave malattia al sangue e Lucia, andata a Catania, fa voto di castità e di rinuncia alla vita agiata sulla tomba di Sant’Agata. Quando ritorna a Siracusa, Eutichia guarisce, così Lucia rinuncia al suo matrimonio e convince la madre a cedere tutti i beni a sostegno dei poveri. Fu denunciata dal fidanzato come cristiana, fatta arrestare da Pascasio, console di Siracusa. Riguardo al suo martirio ci sono due versioni una latina e una greca e, per gli studiosi, quest’ultima è la più credibile. Fu torturata ed uccisa il 13 dicembre del 304, divenne Santa e Patrona di Siracusa. La leggenda narra che durante la tortura le furono strappati gli occhi, infatti nell’iconografia viene raffigurata con una tazza in mano contenente i suoi occhi, per questo motivo viene considerata la protettrice degli occhi e della vista.
Una certa iconografia, però, la raffigura con in mano un mazzo di spighe e la tazza recante una fiaccola, accostandola alla dea greca Demetra o alla romana Cerere.
Demetra è la divinità della terra coltivata, protettrice dei campi e dell’agricoltura, conosciuta dai Romani con il nome di Cerere. Le sue leggende si sono diffuse nelle zone del Mediterraneo in cui si coltiva il frumento, soprattutto in Sicilia e in Grecia.

Nel 1039 il generale bizantino Giorgio Maniace toglie momentaneamente agli Arabi la Sicilia orientale, trasporta a Costantinopoli il corpo di Lucia. Quando poi questa cadde per mano dei crociati nel 1204, il doge Enrico Dandolo ordina di portare le sacre spoglie a Venezia, dove il corpo giace tutt’ora. Siracusa, infatti, conserva delle piccole reliquie.

La leggenda narra che nel 1646 Siracusa fu colpita da una grave carestia durante la dominazione spagnola e, nella disperazione vissuta dalla popolazione, giunse una nave carica di frumento per alcuni a Siracusa, secondo altri a Palermo. Questo avvenimento è stato ritenuto un miracolo e da quel giorno in poi, per devozione a Santa Lucia, il 13 dicembre di ogni anno si mangia la cuccìa (grano bollito).

Il termine cuccìa viene da si cuccìa, terza persona singolare del verbo cuccìari, derivato da còcciu cosa piccola, chicco.
Anticamente la cuccìa era un piatto salato, grano cotto con le verdure, ma ora si consuma preferibilmente dolce. Non è un piatto strettamente siciliano, basti pensare alla pastiera napoletana. Per preparare il piatto occorre mettere a bagno il grano per 2-3 giorni e cuocerlo generalmente nel latte. Si può condire con crema di ricotta, crema di cioccolato, ciliegie candite e con tutto ciò che la fantasia ci suggerisce.

Cuccìa salata, ingredienti per 4 porzioni:
• 200 g di frumento,
• 80 g di ceci,
• 2 foglie di alloro,
• 3 cucchiai di olio extravergine di oliva,
• sale e pepe.

Preparazione:
1. Lasciate a bagno i ceci e il frumento in acqua fredda per 12 ore.
2. Trascorso questo tempo, risciacquateli con cura e fateli cuocere con l’alloro a fuoco lento in abbondante acqua salata per 2 ore, o fino a quando i chicchi di frumento non si saranno ‘aperti’ e l’acqua avrà assunto un colore biancastro.
3. Trasferite la cuccìa in una terrina abbastanza capiente; condite con olio, un pizzico di sale e una macinata di pepe, mescolando con cura prima di servire.
Vini consigliati Delia Nivolelli Inzolia (bianco) e Orvieto Classico (bianco).

Cuccìa dolce, ingredienti per 6 porzioni:
• 500 g di frumento di grano tenero,
• 400 g di ricotta fresca,
• 250 g di zucchero,
• un pizzico di cannella in polvere,
• 0,1 dl di latte,
• 50 g di cioccolato fondente,
• 150 g di zucca candita.

Preparazione:
1. Pulite il frumento scartando eventuali corpi estranei, lavatelo, versatelo in un recipiente, copritelo di acqua e lasciatelo riposare per 24 ore.
2. Trascorso tale tempo, sciacquate il frumento, unite 5 l di acqua e lessatelo a fuoco basso per circa 2 ore. Sarà pronto quando i chicchi risulteranno ben teneri e avranno assorbito quasi interamente l’acqua. Scolate quindi il frumento e mettetelo in un’insalatiera.
3. Con la forchetta mescolate la ricotta unendovi lo zucchero e un pizzico di cannella. Passatela poi al setaccio in modo che risulti liscia e senza grumi. Se si presenta troppo asciutto, diluite il composto con un goccio di latte.
4. Tagliate il cioccolato a scagliette e la zucca candita a pezzettini; mescolate al frumento amalgamando accuratamente.
5. Sistemate la cuccìa su un piatto da portata, fatela raffreddare per 2 ore e servite.
Vini consigliati Moscato di Noto (bianco) e Recioto di Soave (bianco).

Santa Lucia non viene festeggiata solo a Siracusa, ma anche in altre città della Sicilia fra cui Belpasso. Qui troviamo alcune reliquie rilasciate nel 1654 dal vicario generale di Catania e messe in salvo durante l’eruzione dell’Etna del 1669, che cancellò il paese. A Belpasso si celebra come patrona dal 1636, ma era già venerata in precedenza, i fedeli pregavano la Santa ai piedi di un grande quadro sito nella Chiesa della Madonna delle Grazie del convento dei Carmelitani.
Santa Lucia viene festeggiata anche nel Nord d’Italia, dove esiste una tradizione legata ai doni di Santa Lucia.

Inoltre, anche all'estero si onora la Santa: Argentina, Austria, Brasile, Danimarca, Finlandia, Repubblica Ceca, Saint Lucia, Spagna e Svezia.
In Svezia è molto venerata dalla chiesa cattolica e luterana. Ogni anno c'è un’elezione per la Lucia di Svezia che raggiunge Siracusa durante i festeggiamenti dedicati alla Santa.

Con questo non mi resta che augurare a tutti coloro che portano il nome di Lucia, i miei più sinceri auguri di buon onomastico.

Chiara D'Amico 


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domenica 12 dicembre 2010

"L'universo in un guscio di noce", di Stephen Hawking.


“L’universo in un guscio di noce”
di Stephen Hawking
Mondadori, 2006
pp. 217, illustrato
€ 14,00


A partire dall'origine del cosmo, l'astrofisico Hawking spiega la relatività e la meccanica quantistica, le ipotesi sulla vera forma del tempo e dello spazio, la non lontana possibilità di navigare nel tempo, rispondendo alle grandi questioni circa l'origine della vita, la sua presenza in universi a noi sconosciuti, il suo futuro e quello della ricerca scientifica. Il libro è ricco di illustrazioni che aiutano a chiarire meglio i concetti presentati e si rivolge a chiunque voglia capire l'universo in cui viviamo, trasmettendo l'entusiasmo dello scienziato che, giorno dopo giorno, insegue e scopre i segreti del cosmo.



Suggerimenti di lettura di Chiara D'Amico

"L'arte di una vita inutile", di Alfio Caruso.


“L’arte di una vita inutile”
di Alfio Caruso
Einaudi, 2010
pp. 375, brossura
€ 24,00


"La mia Delahaye appariva piovuta da Marte, a ogni sosta si formavano crocicchi di adulti e bambini con la bocca aperta. Il ritorno dall'America cominciava a piacermi; godevo che mi giudicassero di un altro mondo, uno con i dollari, uno che aveva avuto successo". Con il suo macchinone Willy Melodia attraversa campagne - da Napoli a Catania - "che non si sono messe in pari con le stagioni": è l'Italia del dopoguerra, in cui la gente ha imparato a trattenere l'anima con i denti, ma procede di fretta per non perdere l'appuntamento con un domani migliore. Per questo l'idea di aprire un ristorante a Taormina, sul modello dei locali americani in cui Willy ha suonato il piano per quindici anni, si rivela vincente. La fama del Paradise, della sua cucina originale, del suo pianista d'eccezione, supera ben presto lo Stretto, e con l'inaugurazione del festival del cinema diventa il ritrovo delle star, da Marlene Dietrich ad Ava Gardner, da Rock Hudson a Orson Welles. Ma il passato ci precede. In America, infatti, Willy ha lasciato i suoi due figli, Sal e Sarah, uno all'oscuro dell'esistenza dell'altra. In Italia, poi, è rientrato per volere di Charles "Lucky" Luciano. E così sulla sua recita da uomo delle stelle, che ogni sera può scegliere tra le donne che gli si radunano attorno, si abbassa continuamente il sipario. Perché a volte " non esiste maledizione peggiore di un sogno che si avvera".


Suggerimenti di lettura di Chiara D'Amico

venerdì 10 dicembre 2010

Storia della cucina siciliana: la Pasta alla Norma.


Tipico piatto dell’arte culinaria catanese è senza dubbio la Pasta alla Norma. Fu chiamata così dal noto commediografo Nino Martoglio nel 1920, durante un pranzo a casa dell’attore teatrante Janu Pandolfini, esclamando “É una Norma!” per indicarne la bontà, paragonandola all’omonima opera di Vincenzo Bellini.

La parola pasta deriva dal tardo latino, che proviene a sua volta dal greco paste, con cui si indicava una specie di farinata.
In un bassorilievo frigio, (Frigi un popolo che nell’età del bronzo migrò dalla Tracia in Asia Minore, intorno al 1200 a.C.), si vede la dea Cibele che dona ad Attis, suo amante, una scodella di semola cotta. I Romani, dell’età imperiale, conoscevano la pasta con il nome di lagana (frittelle), dolci a base di semolino e miele. Furono i Siciliani ad inventare la pasta alimentare, tra la caduta dell’Impero Romano e l’avvento degli Arabi.
Il primo formato di pasta fu il maccherone, che deriva dal verbo latino maccare (schiacciare). Furono sempre i Siciliani ad inventare gli spaghetti, quindi la loro introduzione in Europa non fu dovuta al viaggio di Marco Polo in Cina, poiché egli nacque cento anni dopo che Edrisi (geografo arabo) avevo reso nota l’invenzione degli spaghetti. Edrisi, nel 1154, nell’opera “Kitab-Rugiar” (Libro di Ruggero) parla di itriya , che era una specie di spaghetto molto sottile. Ancora oggi i capellini d’angelo vengono chiamati tria. In qualche località del Palermitano si conserva l’usanza dei trya come i trya bastarda e lenticchi, i trya bastarda sono spaghetti di grosse dimensioni rispetto ai vermicelli conosciuti dagli Arabi.

Altro ingrediente che non può mancare nella Pasta alla Norma è la Ricotta Salata.
L’etimologia della parola ricotta viene dal latino recoctus, cotto di nuovo.
La storia della ricotta è ampiamente illustrata negli scritti: del Notaio Luca Cuccia del 25 agosto XIV sec.; dello scrittore Gallo nel libro “Le venti giornate dell’agricoltura e dei piaceri della villa” del IV secolo. Carmelo Traselli nel suo “Calmiere dei viveri al minuto a Palermo” del 1412-1440, riporta la ricotta come uno dei generi alimentari di più largo consumo.
Lo storico Antonio Uccello descrive minuziosamente la lavorazione della ricotta e gli utensili tradizionali usati, nel suo libro “Bovari, pecorari, curati. Cultura casearia in Sicilia” del 1980.
Infine da segnalare il trattato scritto, alla fine del 1800, dal sacerdote Don Gaetano Salamone dove spiega minuziosamente la tecnica di fabbricazione della ricotta di pecora.

Ecco la ricetta per un’ottima Pasta alla Norma. Ingredienti per 4 porzioni:
• 320 g di spaghetti,
• 3 melanzane grosse,
• abbondante olio per friggere,
• 1 cipolla media,
• 2 cucchiai di olio extravergine di oliva,
• 2 spicchi di aglio,
• 500 g di pomodori maturi,
• 8 foglie di basilico,
• 100 g di ricotta salata,
• sale e pepe.

Preparazione:
1. Pulite le melanzane, tagliatele a fettine, cospargetele di sale e lasciatele riposare per 1 ora circa, affinché perdano l’acqua di vegetazione.
2. Trascorso il tempo di riposo, friggete le melanzane in abbondante olio, quindi scolatele e adagiatele su carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso.
3. Nel frattempo, sbucciate e tritate la cipolla e fatela rosolare in un tegame capiente in 2 cucchiai di olio extravergine di oliva insieme agli spicchi di aglio tagliati a metà per 4 minuti, finché la cipolla sarà dorata; spellate i pomodori, tagliateli a pezzettoni e uniteli al soffritto. Aggiustate di sale e di pepe e lasciate cuocere a fuoco basso per 15 minuti. Aggiungete le foglie di basilico spezzettate e cuocete per altri 5 minuti.
4. Lessate la pasta in abbondante acqua salata per alcuni minuti, scolatela al dente e conditela con 80 g di ricotta grattugiata, mescolando bene. Unite quindi la salsa di pomodoro e le melanzane fritte. Mescolate nuovamente il tutto, completate coprendo con foglie di basilico, fettine di melanzane fritte e una grattugiata di ricotta salata.
Vini consigliati Alcamo Bianco o Albana di Romagna bianco.

E pensare che un semplice piatto di pasta con le melanzane fritte è ricco di storia, di popoli e usanze che si sono succeduti nei secoli. Non mi resta che augurarvi buon appetito, pensando a ieri e al profumo inebriante di un buon piatto di Pasta alla Norma!

Chiara D’Amico



Storia della Caponata.


La caponata è uno dei piatti più famosi della gastronomia siciliana. È un piatto composto da un insieme di ortaggi fritti, tra cui spicca la melanzana. Esistono ben 50 varianti di questa ricetta. Oggi la caponata è servita come antipasto o contorno, ma nel 1700 costituiva un piato unico, accompagnato dal pane. L’etimologia della parola caponata deriva dal capone, nome che in Sicilia indica la Lampuga, pesce dalle carni pregiate che nelle tavole dei nobili veniva servito accompagnato dalla salsa agrodolce della caponata. Il popolo, non potendosi permettere il pesce, lo sostituì con la melanzana.
Alcuni studiosi ritengono che la parola caponata deriverebbe dalla parola caupone, che si riferisce alle taverne dei marinai, o ai termini iberici di capirottata, capirotada o capironades. Ma il termine potrebbe derivare dal latino caupona, ossia taverna. Seguendo quest’ultima interpretazione si può dire che la caponata è fatta da cose varie.
Esistono due tipi di ricette: quella a base di verdure (piatto dei poveri), e quella a base di pesce (piatto dei nobili). Di quest’ultimo tipo sono note diverse ricette, le più antiche che si conoscono sono di Ippolito Cavalcanti nel suo libro “La cucina teorica-pratica con corrispondente riposto” pubblicato a Napoli nel 1839.

La melanzana è originaria dell’India, ma già durante la preistoria veniva coltivato in Cina e in altri Paesi asiatici.
Fu introdotta in Sicilia dagli Arabi, che sbarcarono il 17 giugno dell’827 a Capo Granitola, vicino Mazara del Vallo, iniziando la conquista dell’isola e ivi rimasero fino al 1091.
Gli Arabi chiamano la melanzana badingian e in Italia viene aggiunto il prefisso melo, diventando così melo-badingian, quindi melangian.
Il nome della melanzana veniva interpretato come mela non sana, dato che è commestibile solo previa cottura. Infatti cruda ha un gusto sgradevole ed è tossica, perché contiene la solanina.

L’altro ingrediente importante della caponata è il pomodoro, portato in Europa da Cristoforo Colombo al ritorno dalla conquista dell’America nel 1492.
Gli altri ingredienti, come capperi e olive, erano già presenti nel territorio siciliano.

Ecco la ricetta per una buona caponata (le dosi possono variare a seconda del gusto personale):
• 3 grossi pomodori maturi,
• 1 peperone rosso,
• 1 peperone giallo,
• 1 peperone verde,
• 1 costa di sedano,
• 1 melanzana,
• 1 cipolla,
• abbondante olio per friggere,
• 5 cucchiai di olio extravergine di oliva,
• 60 g di olive nere,
• 20 g di uvetta,
• 20 g di pinoli,
• 20 g di capperi sotto sale,
• 0,8 dl di aceto di vino bianco,
• 1 cucchiaino di zucchero,
• sale.

Preparazione:
1. Spellate, private dei semi e tagliate a cubetti i pomodori; mondate i peperoni eliminandone i semi e le nervature interne e riduceteli a quadretti; mondate e lavate la costa di sedano e affettatela.
2. Mondate e lavate la melanzana e tagliatela a cubetti, cospargetela di sale e lasciatela sgocciolare su un setaccio per 1 ora affinché perda la sua acqua amara.
3. In una padella, ponete a riscaldare abbondante olio per friggere e quando sarà bollente versatevi la melanzana. Quando questa avrà assunto un bel colore dorato, scolatela e adagiatela su carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso.
4. Sbucciate e affettate a rondelle la cipolla e rosolatela nell’olio extravergine di oliva per 2 minuti, quindi unite i peperoni e fate rosolare anch’essi per 2-3 minuti; aggiungete ora i cubetti di pomodoro, le olive, l’uvetta fatta rinvenire per 10 minuti in una tazza d’acqua tiepida e poi strizzati, i pinoli e i capperi dissalati sotto acqua corrente.
5. Cuocete per 15 minuti, poi aggiungete le melanzane e proseguite la cottura per altri 5 minuti.
6. Versare ora l’aceto e lo zucchero e cuocete a fuoco basso per 5-6 minuti, lasciando evaporare completamente l’aceto. A fine cottura regolate di sale. Fate riposare in frigorifero, una volta raffreddata, per almeno 1 ora e servite.
Al posto dei peperoni molti usano solo i pomodori, altri non mettono pinoli e uvetta. Nel palermitano, invece, si aggiungono mandorle crude, o anche fettine di pere, e si aromatizza con cannella in polvere e chiodi di garofano.

La caponata è ancora più gustosa se consumata il giorno successivo, ma siete sicuri di saper resistere alla tentazione??

Chiara D’Amico

giovedì 9 dicembre 2010

Hermann Hesse


"Amore è desiderio
divenuto saggezza;
l'amore non vuole
possedere nulla,
vuole solo amare."

di Herman Hesse

martedì 7 dicembre 2010

"Appunti di un venditore di donne", di Giorgio Faletti.


“Appunti di un venditore di donne”
di Giorgio Faletti
B.C. Dalai Editore, 2010
pp. 397, rilegato
€ 20,00

1978. A Roma le Brigate Rosse hanno rapito Aldo Moro, in Sicilia boss mafiosi come Gaetano Badalamenti soffocano ogni tentativo di resistenza civile, all’ombra della Madonnina le bande criminali di Vallanzasca e Turatello fanno salire la tensione in una città già segnata dagli scontri sociali. Ma anche in questo clima la dolcevita del capoluogo lombardo, che si prepara a diventare la «Milano da bere» degli anni Ottanta, non conosce soste. È proprio tra ristoranti di lusso, discoteche, bische clandestine e cabaret - dove cresce una nuova generazione di uomini di spettacolo destinata a rivoluzionare la comicità italiana - che fa i suoi affari un uomo enigmatico, affascinante, reso cinico da una menomazione inflittagli per uno «sgarbo». Si fa chiamare Bravo. Il suo settore sono le donne. Lui le vende. La sua vita è una lunga notte bianca che trascorre in compagnia di disperati, come l’amico Daytona. L’unico essere umano con cui pare avere un rapporto normale è un vicino di casa, Lucio, formidabile chitarrista cieco con cui condivide la passione per i crittogrammi. La comparsa improvvisa di una ragazza, Carla, che per sfuggire alla povertà decide di entrare nel giro della prostituzione, risveglia dolorosamente in Bravo sensazioni che l’handicap aveva messo a tacere. Ma per lui non è l’inizio di una nuova vita - che comunque gli sarebbe preclusa - bensì di un incubo che lo trasformerà in un uomo braccato dalla polizia, dalla malavita e da un’organizzazione terroristica. Incastrato come capro espiatorio in una serie di omicidi e in una strage efferata, per salvarsi non potrà contare che su se stesso. Il mondo, cui aveva cercato di sottrarsi scegliendo l’oscurità alla luce del giorno, lo risucchia mettendolo faccia a faccia con la violenza del proprio tempo. Qualcosa di molto più grosso di lui che fa sembrare acqua cristallina i suoi traffici sporchi.


Suggerimenti di lettura di Chiara D'Amico

"Il sorriso di Angelica", di Andrea Camilleri.


“Il sorriso di Angelica”
di Andrea Camilleri
Sellerio Editore Palermo, 2010
pp. 257, brossura
€ 14,00


Gli anni non impediscono a Montalbano di riaccedere alle venture e agli incanti dell'esperienza adolescenziale: all'inadeguatezza emotiva, alle fantasticaggini, ai risalti del cuore, ai turbamenti, alla tenera e trepida lascivia; alle affezioni precipitose, anche: dagli scoppi d'ira, agli schianti di gelosia. Conosce a memoria la poesia "Adolescente" di Vincenzo Cardarelli. Recita a se stesso i versi sul "pescatore di spugne", che avrà la sua "perla rara". E sa, non senza diffidenza e discorde sospetto di decrepitezza, quando più e quando meno, tra il lepido e il drammatico, che "... il saggio non è che un fanciullo / che si duole di essere cresciuto". Non crede invece, alla sua "saggezza", la fidanzata Livia. E scambia per un tratto di guasconeria la confessione di un tradimento, fatta con la schiettezza propria dell'età men cauta. Montalbano è stato folgorato dalla bellezza, sensualmente sporca di vita, della giovane Angelica. Un misterioso personaggio, nascosto in un gomito d'ombra, confonde il commissario con una giostra di furti architettati geometricamente, secondo uno schema d'ordine di pedante e accanita astuzia. Quale sia la posta in gioco è da scoprire. La vicenda è ingrovigliata e ha punte d'asprezza. E intanto Montalbano si vede in sogno, costretto in un'armatura di cavaliere, e buttato dentro un torneo. Fuor di sogno, nel vivo delle indagini, irrompe, in questa "gara" similariostesca, la nuova Angelica.


Suggerimento di lettura di Chiara D'Amico

"Il cimitero di Praga", di Umberto Eco.


"Il cimitero di Praga"
di Umberto Eco
Bompiani, 2010
pp. 523, ill., rilegato
€ 19,50


Trent'anni dopo "Il nome della rosa" Umberto Eco torna in libreria con un nuovo romanzo di ambientazione storica. Lungo il XIX secolo, tra Torino, Palermo e Parigi, troviamo una satanista isterica, un abate che muore due volte, alcuni cadaveri in una fogna parigina, un garibaldino che si chiamava Ippolito Nievo, il falso bordereau di Dreyfus per l'ambasciata tedesca, la crescita di quella falsificazione nota come "I protocolli dei Savi Anziani di Sion", che ispirerà a Hitler i campi di sterminio, gesuiti che tramano contro i massoni, massoni, carbonari e mazziniani che strangolano i preti con le loro stesse budella, un Garibaldi artritico dalle gambe storte, i piani dei servizi segreti piemontesi, francesi, prussiani e russi, le stragi nella Parigi della Comune, orrendi ritrovi per criminali che tra i fumi dell'assenzio pianificano esplosioni e rivolte di piazza, falsi notai, testamenti mendaci, confraternite diaboliche e messe nere. Ottimo materiale per un romanzo d'appendice di stile ottocentesco, tra l'altro illustrato come i feuilletons di quel tempo. Un particolare: eccetto il protagonista, tutti i personaggi di questo romanzo sono realmente esistiti e hanno fatto quello che hanno fatto. E anche il protagonista fa cose che sono state veramente fatte, tranne che ne fa molte, che probabilmente hanno avuto autori diversi. Accade però che, tra servizi segreti, agenti doppi, ufficiali felloni ed ecclesiastici peccatori, l'unico personaggio inventato di questa storia sia il più vero di tutti.


Suggerimento di lettura di Chiara D'Amico

lunedì 6 dicembre 2010

Le mie recensioni: "Solo l'amore" di Fabio Amato.


“Solo l’amore”
di Fabio Amato
OTMA Edizioni, II Ristampa maggio 2010
pp. 64, rilegato a mano
€ 8,00


Nella seconda raccolta di poesie di Fabio Amato, intitolata “Solo l’amore”, si denota una maturità artistica, dove il poeta con poche e semplici parole, riesce ad esprimere al meglio intense emozioni.
Il modo di scrivere è lineare, i versi sono scritti senza rispettare alcuna regola della scrittura poetica, liberi da ogni legame ma ricchi di significato, dove Amato mette al centro di tutto “Solo l’amore”.

“Moriamo/ Quando/ Non sentiamo/ L’altro/ E non/ Comunichiamo/ Il silenzioso/ Anelito/ Del cuore.”
Ci sono tanti modi per morire, ma quello che non riusciamo a capire è che il morire è anche non comunicare, non trasmettere al prossimo i nostri sentimenti, le nostre emozioni più vere e sincere. E che cosa sono le nostre emozioni se non leggeri sfarfallii del nostro cuore?

“Profondo/ Nel mare/ Si perde/ Lo sguardo,/ mentre pensieri/ come nuvole/ mutano forma.”
Quante volte ci sediamo là sulla battigia ad ammirare la maestosità del mare, perdendoci nei nostri infiniti e variegati pensieri.

Natività
“Dalla scia/ Della stella guidati,/ nell’umile grotta/ troviamo/ la silenziosa risposta:/ l’amore.”
I Re Magi guidati dalla loro scienza, dallo studio delle stelle e delle profezie, cercano il Re che sta per nascere. Dentro una grotta trovano un caldo fagotto appena nato, Gesù Bambino, che insegna loro di non giudicare le persone per quello che possiedono, ma dona loro e a tutti noi un dono prezioso: l’Amore.

Speranza
“Si spegne/ Nel magico/ Incanto/ Della notte/ Un anno,/ mentre nel mare/ si specchia/ il luccicante riflesso/ di una nuova alba.”
La notte di Capodanno, per tutti noi, è piena di interrogativi e di buoni auspici per l’anno che verrà.


Oltre all’amore e alla speranza, Fabio Amato affronta il tema della guerra.

Ferite
“Placate/ L’urlo/ Della terra,/ squarciata/ dal sangue/ delle lapidi.”

Pietà
“L’ebraico ghetto/ Vive/ Tra le mura/ E il silenzio/ Dei luoghi/ Della pietà.”

Tramonta/ Il sole/ Sull’occidente/ Coi carri armati/ E l’incapacità/ Di dialogare.”

Genocidio
“Urlo/ Soffocato/ Nel silenzio/ Di una notte/ Senza stelle.”
Cosa lascia la guerra a chi la combatte, se non una triste scia di sangue e distruzione, distruzione del corpo ma anche dell’anima.

Segnalo anche alcuni omaggi che il poeta fa a grandi artisti, come:

Omaggio a Ungaretti
“Silenziosa/ La luna/ Si sporge/ Dalla balaustra/ Del cielo/ E illumina/ I nostri pensieri.”

Ascoltando Puccini
“Malinconici ricordi,/ lontane melodie,/ silenti ritorni/ di anime/ perse/ nella disperata ricerca/ di se stesse.”

Ascoltando Stravinskij
“Frammenti/ Di sogni/ Riaffiorano/ Alla coscienza:/ ricordi/ di fughe/ o/ fughe/ dai ricordi?”


Concludo con la poesia “Sicilia” , vincitrice di un premio della seconda edizione della Biennale di Pero il 4 dicembre 2005.

Sicilia
“Vitigno solitario,/ accarezzato/ dalla brezza/ del mare/ arroventata/ dal sole,/ che rubino,/ gocciola/ nei cristalli/ della memoria,/ ritorno/ alla terra dei padri:/ la Sicilia.”

Fabio Amato nasce a Milano il 14 marzo del 1964, laureato in pedagogia (1989), lavora come educatore nella Fondazione Istituto Sacra Famiglia dal 1991.
É autore di “Falene”, una raccolta di poesia pubblicata sempre con OTMA Edizioni, e “Solo l’amore” è il suo secondo libro. Egli è iscritto all’A.U.P.I., Albo Ufficiale Poeti-Pittori Italiani. Inoltre, le sue opere sono presenti nell’antologia poetica italiana: “L’Agenda Dei Poeti”.

“Solo l’amore” è dedicato a tutti coloro che credono nell’amore.
In fondo non è “Solo l’amore” il sentimento più importante dell’uomo?

Chiara D'Amico

venerdì 3 dicembre 2010

“Il caso Genchi. Storia di un uomo in balìa dello Stato”, di Edoardo Montolli.


“Il caso Genchi. Storia di un uomo in balìa dello Stato”
di Edoardo Montolli
Aliberti, 2009
pp. 983, brossura
€ 19,90


Luglio 1992, la Sicilia è dilaniata dalle stragi. In città c'è un poliziotto che ha lavorato con Falcone e sono tre anni che si occupa dei misteri di Palermo. Si chiama Gioacchino Genchi. È a lui che chiedono di scoprire qualcosa sulle agende elettroniche del giudice. E di capire dai telefoni se qualcuno spiasse Paolo Borsellino. E lui qualcosa scopre. Scova file cancellati e li ritrova. Poi ipotizza una pista per via D'Amelio: date, nomi, luoghi. Diventa vice del gruppo Falcone-Borsellino. Ma quell'indagine non la finirà mai. Una mattina all'improvviso sbatte la porta. E se ne va. Da allora non ne ha mai parlato. Finché approda a Catanzaro, per la Why Not di Luigi de Magistris. Una mattina accende il pc, guarda i tabulati telefonici. E all'improvviso sbianca. Ma non fa in tempo a stendere una relazione: revocato l'incarico, indagato e perquisito, sequestrato l'«archivio» con tutti i dati fin dal 1992. Attaccato da ogni parte politica. Sospeso dalla polizia. E altrove quattro magistrati perdono il posto. E allora cosa c'era in Why Not, cosa c'era in quei tabulati? C'erano giudici a contatto con boss, magistrati amici degli indagati e dei loro avvocati. Ma c'era soprattutto un intreccio telefonico economico-politico-giudiziario che da Catanzaro saliva a Roma. E ora che per difendersi ha depositato in tribunale le sue scoperte, può finalmente raccontarlo: perché lasciò allora, perché è stato fermato adesso. Con nomi, date e luoghi.


Suggerimento di lettura di Chiara D'Amico

“Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri, più liberi”, di Corrado Augias.


“Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri, più liberi”
di Corrado Augias
Mondadori, 2008
pp. 120, brossura
€ 8,80


Perché si legge e come si impara a farlo? Quali meccanismi emotivi si attivano? Come nasce la passione per la lettura? Perché leggere fa bene, ma può talvolta anche far male? In queste dense pagine, Corrado Augias si interroga sul significato dell'"attività del leggere", e lo fa attraverso una sorta di racconto autobiografico: dalle prime emozioni che, giovane studente liceale, suscitarono in lui i grandi classici ma anche alcuni libri "proibiti" come "L'amante di Lady Chatterley", alla scoperta di Edgar Wallace, Conan Doyle e Raymond Chandler e della narrativa poliziesca, all'amore più maturo per i romanzi di Joseph Roth e Robert Musil. E poi, ancora, la letteratura francese, quella erotica, Dante, Petrarca, George Orwell, Philip Roth.


Suggerimento di lettura di Chiara D'Amico

mercoledì 1 dicembre 2010

Le mie recensioni: "Non Adesso" di Stefano La Monica.


“Non Adesso”
di Stefano La Monica
Altrerighe, 2009
pp. 162, brossura
€ 11,00


“Non Adesso” è un libro forte come un pugno sullo stomaco, che ruota attorno al protagonista seduto su un cornicione, dove analizza la sua vita, i suoi amori Lei e lei, le aspettative di scrittore emergente.
É un libro ben scritto, con una scrittura scorrevole e coinvolgente, che porta il lettore ad immedesimarsi con il protagonista, a soffrire con lui e sperare per lui, che tutto si risolva per il meglio.

Belle sono le parole dette dal padre al protagonista riguardo il diverso amore che si prova per i figli e per la moglie: “[...] Se verrà il giorno in cui metterai al mondo un figlio, capirai che non esiste amore più grande di quello. Noi ormai siamo legati da un amore lungo e resistente, ma ci lasciamo travolgere solo da quello che proviamo per tutti voi tre. [...]”.
Il protagonista, come scrittore emergente, chiedeva soltanto poco tempo a questo o a quell’editore, pochi minuti la sera affinché questi leggessero il suo componimento, ed è il concetto di tempo che viene fuori in uno dei suoi dialoghi con il commissario: “[...] Guardi giù, commissario. Guardi tutta questa città. É piena di gente che non è riuscita a dedicarmi nemmeno due ore del proprio tempo. E dire che a loro avevo chiesto pochi minuti ogni sera e non due ore tutte insieme, come sto chiedendo a lei. [...]”.
Il personaggio principale, durante una pausa di riflessione, pensa alla sua vita, a come questa vita la viviamo, la sprechiamo, invece di trarne il massimo da ogni cosa e da ogni situazione: “[...] É dura voltarsi e guardare tutta quella vita che ci lasciamo alle spalle. Una successione di giorni che, come perline, possono più o meno brillare. Anche se, come disse qualcuno, i giorni veramente belli della vita sono solo 4 o 5. Tutti gli altri fanno volume. [...]”.

Stefano La Monica è nato a Roma nel 1969 e risiede a Brindisi dal 1976. É stato un bravo studente fino al secondo anno di liceo, dopo di che la pallacanestro lo ha distolto da qualsiasi forma di cultura. Fortuna volle che, un giorno, un’amica gli regalasse un libro...
E meno male che quel libro lo ha letto, perché così ha avuto la curiosità di cimentarsi come scrittore.
“Non Adesso” primo romanzo di Stefano La Monica, un romanzo da leggere tutto d’un fiato e che lascia il segno.
“Vorrei lasciare il segno di me sui muri di una notte d’estate...” (Pooh).


Chiara D'Amico